Due Ruote per rinascere

Intervista al Dott. Gianrico Spolti

L’ing. Renzo Spolti

La fase di decentramento e riconversione produttiva degli stabilimenti aeronautici Piaggio di Pontedera, nel periodo 1943-1946, costituisce senza dubbio uno degli aspetti meno noti e fino ad oggi non sufficientemente studiati e trattati, malgrado la sua fondamentale importanza nella storia industriale italiana. Non solo ma la scarsità di documenti ufficiali ha portato al prevalere di leggende indirizzate su di un unico filone precostituito. Di conseguenza, la quasi totalità della pubblicistica e storiografia fino ad oggi prodotta si è limitata ad attribuire la paternità dello scooter Piaggio a due soli personaggi: l’imprenditore lungimirante ed audace, ossia il dott. Enrico Piaggio, e il genio multiforme impersonificato dall’ ing. Corradino D’Ascanio.

Approfondite ricerche ci hanno consentito invece di recuperare alcuni passaggi significativi nella genesi della “Vespa” e di rendere finalmente omaggio a quei protagonisti che nella costruzione del “mito” sono stati volontariamente o involontariamente dimenticati.

Siamo riusciti così ad intervistare a Ginevra il figlio dell’ing. Renzo Spolti, uno dei principali protagonisti della delicata fase di riconversione degli stabilimenti Piaggio.

Il dott. Gianrico Spolti, dirigente chimico da tempo in pensione, ha vissuto a stretto contatto con suo padre il decentramento degli stabilimenti a Biella nel 1944-45, quando venne realizzato appunto il primo scooter Piaggio. Riportiamo il testo integrale dell’appassionante intervista rilasciata a Paolo Farina, senza alcun intento polemico ma con il vivo desiderio di fare chiarezza su uno degli eventi che sono risultati determinanti per la rinascita della Piaggio di Pontedera.

Onex, Ginevra, gennaio 2007.

Dottor Spolti, suo padre arrivò allo stabilimento Piaggio di Pontedera già nel 1930 ed è stato senza dubbio uno dei principali tecnici progettisti che hanno reso possibile la fortunata realizzazione di una vasta gamma di motori stellari per aviazione. Quali erano i suoi rapporti con il dott. Enrico Piaggio?

Direi di rispetto e fiducia. In famiglia, mio padre è sempre stato estremamente discreto sugli eventuali problemi relazionali fra collaboratori, colleghi e superiori che si possono produrre in una organizzazione complessa. Nei suoi rari accenni al dott. Piaggio, mio padre sottolineava le doti positive che riconosceva in lui, come ad esempio il sapersi scegliere i collaboratori, non parlando mai del carattere sprezzante e collerico che a volte esibiva…

Solo una volta, quando ormai avevo terminato l’Università ed iniziato la mia vita professionale, mi raccontò di aver avuto un grosso scontro con lui. Durante una riunione di dirigenti, mio padre espresse il suo disaccordo non so su quale argomento e, chiedendo di lasciare la riunione, si avviò verso la porta. Il dott. Piaggio ebbe allora uno degli scatti d’umore… che spesso si permetteva con i dipendenti ed i dirigenti e minacciò papà che se fosse uscito da quella porta non sarebbe più rientrato nello stabilimento. Mio padre, lungi dal seguire l’esempio di molti altri colleghi trattati in malo modo ed insultati pubblicamente, che si sottomettevano a tali “strapazzate”, uscì deciso dalla sala… L’indomani il dott. Piaggio non dette seguito alla minaccia, né si scusò; le scuse, d’altro canto, non facevano parte del suo modo di essere. Semplicemente, tutto continuò come prima.

Ricordo anche che mio padre mi ha detto più di una volta che dei due fratelli Piaggio alla guida dell’azienda di famiglia, Enrico, laureato in scienze economiche, e Armando, laureato in ingegneria elettrotecnica, il vero “ingegnere” era Enrico Piaggio.
 

Con la nomina nel 1938 dell’ing. Eugenio Mancini, quale Direttore del Servizio Tecnico Motori, suo padre divenne il suo principale collaboratore. Cosa ci può dire di questo incontro professionale?

L’incontro professionale dette origine ad una amicizia sincera e profonda che è durata per tutta la vita di mio padre.

Naturalmente per me, ancora bambino, i rapporti gerarchici non avevano alcun significato: l’ing. Mancini entrò nella nostra famiglia, e non ne è più uscito. Ho appena intravisto, da adolescente, gli stretti legami che li univano nel lavoro e solo più tardi, dopo la morte di mio padre, ho appreso da una lettera che l’ing. Mancini mi scrisse, in quale modo si creò la struttura formale ed ufficiale dei loro rapporti di lavoro. Le leggo letteralmente il passaggio di questa lettera: “…A chi andrebbe la responsabilità totale (sul piano tecnico-progettuale n.d.a.), della Piaggio? Era noto a tutti che Spolti sarebbe stato il nuovo vincente. Il dott. Piaggio mi disse che tuo padre sarebbe stato il direttore tecnico dell’azienda ed io ne rimasi completamente soddisfatto, ma Renzo (ogni tanto lo chiamerò così perché era felice del suo nome Manzoniano) non lo fu altrettanto: andò subito dal dott. Piaggio per dirgli che avrebbe dato le dimissioni se non fossi stato scelto io. E così vivemmo uno dei periodi più felici della nostra vita”.

Nel 1944 lei seguì suo padre nel decentramento degli stabilimenti Piaggio a Biella. Che ricordo conserva di quel difficile periodo?

Ricordo l’orrore di una vera e propria guerra civile, che non avevo visto in Toscana dopo la caduta del Fascismo, la fuga della Monarchia e l’occupazione da parte dell’esercito tedesco.

Un periodo durante il quale la vita aveva ben poco valore ed i cadaveri dei “giustiziati” venivano lasciati nei rigagnoli o appesi agli alberi per dare “l’esempio”. Nelle fazioni che erano sorte coesistevano ragioni ideologiche, egoismi ed interessi personali, coraggio e codardia, violenza gratuita, spesso accompagnata da vecchie o nuove vendette personali, mascherate da ragioni politiche. Un tragico esempio fu l’esecuzione sommaria – in verità un vero e proprio assassinio- di sei giovani piaggisti.

Alcuni dei dipendenti trasferiti dalla Piaggio hanno riferito in seguito di odio e minacce di cui erano stati vittime. Personalmente- anche durante la mia breve esperienza operaia a Biella – non ho percepito questa situazione estrema. La mia famiglia fu accolta in zona con formale cortesia. Tuttavia diversi episodi mi fecero presto comprendere che da “immigrati” eravamo considerati, se non sospetti, certamente elementi potenzialmente pericolosi.

A questo proposito, posso riferirle che si erano formati dei servizi di “informazione-allarme” (funzionanti per tutte le fazioni in campo) che avvertivano quali zone erano diventate pericolose a causa di scontri armati in corso o in preparazione, oppure di movimenti di tedeschi-fascisti o di partigiani, così come di rastrellamenti o controlli particolarmente aggressivi. Mio padre ed io notavamo che a volte persone che conoscevamo bene, dopo essere state avvicinate da donne, cambiavano improvvisamente direzione. Nessun avvertimento veniva dato invece a noi, e seguendo il nostro itinerario abituale siamo a volte arrivati in zone pericolose.

Un periodo dunque, quello di Biella, molto difficile, specialmente per un giovane come me fra l’adolescenza e l’inizio della maturità. A livello personale invece fu un periodo molto felice poiché i rapporti con mio padre si strinsero e intensificarono ancora di più. Mi teneva al corrente del suo lavoro, sul quale, con mia soddisfazione, discutevamo a lungo.

Come nacque l’idea di realizzare uno scooter?

L’incarico che il dott. Piaggio aveva affidato a mio padre era di “pensare all’avvenire”. Fra i vari progetti che iniziò a studiare, dei quali mi parlava in dettaglio e molti dei quali vidi personalmente, prese campo quello di sviluppare un nuovo mezzo di trasporto individuale motorizzato, poco costoso, adatto ad un paese largamente distrutto.

Pensò anche ad una vetturetta (due o tre posti? Tre ruote o quattro?) e fece anche dei disegni preliminari. Giudicò presto questa strada irrealizzabile, già campo della Fiat, e comunque economicamente irraggiungibile per la maggioranza della popolazione. La motocicletta poteva essere la soluzione…ma non le moto prodotte a quei tempi, sicuramente più “sportive” che “utilitarie”, spesso difficili da mettere in moto e guidare – specialmente per le donne – e anche inadatte per l’abbigliamento dell’epoca.

Occorreva dunque un nuovo tipo di “moto”. Esistevano, è vero, delle piccole motorette ripiegabili per l’esercito ed altri modelli da svago e divertimento, destinati principalmente a località di villeggiatura e balneari. Alcuni esemplari di questi tipi erano posseduti tra l’altro da un nobile sportivo biellese, divenuto amico dello staff dirigenziale Piaggio. Ovviamente questi mezzi non potevano soddisfare obiettivi di largo impiego, come il trasporto individuale.

La risposta di mio padre fu quella di creare un mezzo completamente carenato, sul quale il guidatore fosse protetto da uno scudo frontale e da un marciapiede, con ruote di piccolo diametro, facilmente smontabili e riparabili. I comandi dovevano essere i più semplici possibile: uno per la frizione e gli altri per i freni, il tutto arricchito da un cambio automatico. La parte centrale, a sua volta, doveva essere abbastanza bassa per permettere un facile accesso e comunque non più alta di quella di una bicicletta da donna.

D’altro canto, per mio padre, le idee così come le invenzioni avevano senso solo se potevano essere realizzate e utilizzate praticamente. Terminò quindi i disegni e con mezzi quasi di fortuna realizzò un primo esemplare.

Era nato così un nuovo veicolo di trasporto!

Sappiamo che l’M.P.5 non piacque al dott. Piaggio, tanto da affidare l’incarico di riprogettare lo scooter all’ing. D’Ascanio. Come visse suo padre questa brusca decisione?

Fu molto riservato ed io non ritenni di spingerlo a confidenze, forse immaginando uno sconforto che sarebbe stato più che giustificato ma che mio padre mai mostrò. Rimpiango il mio atteggiamento di allora.

Lo vidi soprattutto preoccupato per quello che giudicava un ritardo nell’immissione sul mercato di un nuovo mezzo. Ho saputo più tardi che il dott. Piaggio si era impuntato sulla parte centrale: aveva persino tracciato una grande croce rossa in quel settore su di una foto dell’M.P.5 esposta nel suo ufficio. Forse, senza analizzare le conseguenze sull’impostazione generale del mezzo, ne impose l’eliminazione. Alcuni vedranno in questa decisione una geniale intuizione. Altri, un capriccio di “padrone” che non deve giustificare i suoi ordini.

Mio padre, comunque, partecipò attivamente, quale direttore del Servizio Tecnico Progetti – che non dipendeva allora dall’ing. D’Ascanio – al difficile passaggio dal progetto alla messa in produzione dello scooter. Questa operazione richiese un grande lavoro, apparentemente non molto interessante per l’ing. D’Ascanio che si riteneva soprattutto un inventore, e fu portata a termine da mio padre con l’abituale fedeltà alla ditta.

Una delle conseguenze dell’eliminazione della parte centrale fu l’abbandono del cambio automatico, unico elemento sul quale mio padre espresse il suo dispiacere. Tanto più che gli utilizzatori della Vespa si accorsero quasi subito che, ad un certo numero di giri, non era necessario usare la frizione per cambiare marcia, realizzando alla buona una sorta di cambio “semi-automatico”…

Un altro scoglio fu rappresentato dalla grande instabilità del nuovo scooter, dovuta al posizionamento laterale del motore. Malgrado diverse modifiche, che causarono ulteriori ritardi, l’instabilità non fu completamente eliminata, provocando molte cadute ai guidatori di allora.

Tutto ciò non ne ostacolò tuttavia il successo, confermando che mio padre aveva visto giusto nella scelta di un nuovo mezzo di trasporto per l’avvenire della Piaggio.

Pur non riferendo in famiglia sulle sue relazioni di lavoro, capii presto chi apparteneva al novero dei suoi veri amici. D’Ascanio non ne faceva sicuramente parte. Questo avrebbe potuto rendere difficile la “coabitazione” e la cooperazione con lui, anche in conseguenza della diversità di carattere e mentalità, ma l’attività svolta in quel periodo da mio padre come Direttore del Servizio Tecnico Progetti dimostrò il contrario.

A questo proposito un avvenimento posteriore mi sembra illustrare bene il carattere di papà: quando uno dei figli di D’Ascanio decise di iniziare la sua carriera alla Piaggio, tutti i dirigenti interpellati dal dott. Piaggio, trovarono delle scuse per spiegare che il loro gruppo non era quello adatto. A quanto pare la personalità dell’ingegnere abruzzese non era così ben accettata. Il dott. Piaggio si rivolse infine a mio padre che si mostrò subito pronto ad accoglierlo e lo formò ricevendo dal giovane ingegnere sincera riconoscenza.

A suo avviso quale importanza assume la realizzazione dell’M.P.5 nella storia del motoscooter italiano?

Una importanza fondamentale. Ritengo l’M.P.5 il vero capostipite del motoscooter italiano, poi imitato in tutto il mondo.

A distanza di sessant’anni nella storiografia e nella pubblicistica dedicata alla nascita dello scooter in Italia il nome di suo padre è a malapena citato e comunque non riportato nella sua giusta collocazione. Quali sentimenti suscita in lei una simile mancanza?

Di grande ingiustizia. La storiografia ufficiale della Piaggio, formalizzata poi nel Museo della Vespa di Pontedera, ha scelto di adottare un “mito”, un imprenditore-un creatore, che non lascia spazio ad altri protagonisti ed a quelle azioni che in seno alla ditta hanno originato il concetto basilare dello scooter Piaggio, consentendone la realizzazione.

Prendendo poi conoscenza di vari scritti, memoriali e comunicati dell’ing. D’Ascanio mi sono reso conto molto più tardi che egli ha volutamente operato per travisare e persino falsificare la storia. Una manovra sicuramente riuscita poiché, come anche lei ha potuto verificare, della documentazione aziendale sull’M.P.5 non vi è più traccia.

Al sentimento di ingiustizia si è quindi aggiunto il mio personale disprezzo per il comportamento tenuto dal principale autore della “favola Vespa”.

Come vorrebbe che fosse ricordato suo padre alla luce dell’attività professionale svolta presso gli stabilimenti Piaggio di Pontedera?

Desidererei che le attività e le realizzazioni di mio padre acquistassero il loro giusto valore. Non solo per il ruolo avuto nella creazione dello scooter, ma anche per le sue precedenti realizzazioni motoristiche nel settore aeronautico e per la sua successiva opera di pioniere, in Italia, nel campo del controllo di qualità, quale Direttore del Servizio Controlli e Collaudi degli stabilimenti di Pontedera.

E vorrei che fosse ricordato con le parole che i suoi ultimi collaboratori gli dedicarono quando prese congedo dopo ben 36 anni di attività alla Piaggio e 50 anni complessivi di lavoro:
 

“All’ingegnere Renzo Spolti, maestro e gentiluomo”


CURRICULUM VITAE*

Dipl. ing. Renzo Spolti fu Giuseppe, nato a Milano il 8-05-1902.

1925-1930
Disegnatore presso l’Ufficio Progetti Auto della Edoardo Bianchi SpA di Milano.

1930-1966
Alla Piaggio & C. presso gli stabilimenti di Pontedera con i seguenti incarichi:

   ° 1930-1933: come disegnatore progettista e vice Capo Ufficio Progetti Motori d’Aviazione, collaborando alla progettazione dei
      motori Piaggio P.VII e P.IX;

   ° 1934-1938: come Capo Ufficio Progetti Motori d’Aviazione, dirigendo la progettazione e il calcolo dei motori Piaggio P.X, P.XI e
      P.XII con i quali l’Aviazione italiana ha conquistato 21 records internazionali;

   ° 1938-1945: come  vice Direttore del Servizio Tecnico Motori;

   ° 1945-1948: come Direttore del Servizio Controllo e Collaudi degli stabilimenti Piaggio di Pontedera.

Pubblicazioni

– Metodi Statistici per il controllo della qualità, ATA 1956.
– Metodi Statistici per il collaudo per attributi, ATA 1964.

Onorificenze

– Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
– Commendatore dell’Ordine della Repubblica Italiana.

* Fonte Direzione Piaggio

L’Ing. Renzo Spolti in compagnia del dott. Piaggio.
Metodico e scrupoloso sia nel calcolo matematico che nel disegno tecnico,
il progettista milanese aveva una preparazione più pratica che accademica,
essendosi formato professionalmente in azienda,
sui tavoli degli uffici tecnici progetti ed a diretto contatto
con i reparti di lavorazione e di collaudo.
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