Le ricerche storiche del Centro Culturale Aeronautico “U. Antoni”

Da “La Nazione”, 26/6/2008

Il volo a motore ha ormai più di cento anni ed una propria storia da raccogliere e divulgare.
Un’esigenza che ha dato vita a Pisa nel 2003 al Centro Culturale Aeronautico “Ugo Antoni”, allo scopo di promuovere cultura e informazione in campo aeronautico partendo da una provincia come la nostra ricca di storia e di tradizioni anche in questo importante settore. A Pisa fu realizzato nel 1911 uno dei primi aeroporti d’Italia, quello di S.Giusto, e all’inizio degli anni Venti sorsero due importanti industrie aeronautiche: la CMASA a Marina di Pisa e la Piaggio a Pontedera. Notevoli furono le ricadute di un simile complesso produttivo anche sul piano della formazione scientifica e professionale. A fianco di una prestigiosa scuola di Ingegneria Aeronautica attiva presso la locale Università, nel 1926 venne istituita in seno al Regio Istituto Tecnico Industriale la prima sezione per periti in costruzioni aeronautiche.Per saperne di più abbiamo incontrato il presidente del Centro Culturale Aeronautico “Ugo Antoni”, Paolo Farina, pubblicista aeronautico ed autore di apprezzate pubblicazioni sulla storia del volo.

D: Presidente, innanzitutto, chi era Ugo Antoni di cui il Centro porta il nome?

R: 
Il pisano Ugo Antoni è uno dei pionieri del volo in Italia, avendo iniziato la sua fertile attività di progettista e costruttore già nel 1907. Insieme al fratello Guido impiantò a Pisa la prima officina aeronautica, dove vennero costruiti gli originali monoplani Antoni, e nel 1911 allestì il campo di volo di S.Giusto sul quale prese vita una vera e propria scuola di pilotaggio. Da quei prati, oggi sede dell’aeroporto militare “Arturo Dell’Oro” con la 46a Brigata Aerea e dell’aeroporto “Galileo Galilei”, uno dei velivoli della Società di Aviazione Antoni realizzò nel 1912 il record mondiale di traversata marittima, raggiungendo felicemente con un unico balzo Bastia in  Corsica. Il precedente primato di traversata, quello della Manica, era stato conquistato dal francese Bleriot ma volando a pochi metri dall’acqua e fracassando l’aereo nell’atterraggio sulla costa inglese. Successivamente Ugo Antoni proseguì gli studi sull’ala a profilo variabile da lui brevettata, sperimentando con successo le sue applicazioni in Italia e in Inghilterra. Un pisano, come si vede, che ha dato sicuramente lustro alla sua città e all’aviazione italiana, che meritava di essere ricordato.

D: Quali sono le attività del Centro Antoni?

R: In primis la ricerca storica, allo scopo di raccogliere, studiare e archiviare tutta la documentazione reperibile presso le varie fonti disponibili. Un’opera non facile poiché, malgrado non vi sia da scavare in epoche molto remote, le distruzioni provocate dalla 2a guerra mondiale hanno portato alla perdita di molti documenti, con conseguente disorganicità di buona parte delle fonti archivistiche consultabili. Questi vuoti possono essere colmati, nei casi più fortunati, con i documenti personali talvolta conservati dai protagonisti o dai loro discendenti, incrociandoli con quanto ricavabile e verificabile dalle eventuali testimonianze orali disponibili. Anche i memoriali lasciati dai protagonisti scomparsi non possono essere presi per “oro colato”, come taluni fanno, ma sempre verificati ed incrociati con altre fonti. La vanità umana spesso ha il sopravvento sul rigore e l’obiettività. Preziose si sono rivelate tuttavia molte delle memorie orali raccolte pazientemente nel corso degli anni, da cui è stato possibile ricostruire con la necessaria attendibilità fatti ed eventi che non compaiono in nessun documento ufficiale e sui quali sarebbe caduto inevitabilmente l’oblio. La ricerca storica a tutto campo è quindi la base per la successiva attività di divulgazione, attraverso l’allestimento di mostre rievocative e la realizzazione soprattutto di pubblicazioni storiche. Proprio in questo periodo stiamo completando una originale collana di quattro Quaderni dedicata alla storia degli stabilimenti aeronautici Piaggio di Pontedera nel periodo 1924-1952, ossia da quando arrivò la casa genovese nella cittadina toscana fino alle ultime realizzazioni in campo aeronautico prima di dedicarsi integralmente a “Vespa” ed “Ape”.

D: Ci può parlare di questa interessante iniziativa?

R: L’attività aeronautica della Piaggio a Pontedera è una bella storia, ricca di personaggi e di importanti traguardi in campo tecnico, che ci ha appassionato, tanto più che la storiografia fino ad oggi prodotta su quel periodo era frammentaria e in taluni casi lacunosa. Dedicandole una collana di pubblicazioni è stato possibile approfondire in maniera organica l’argomento, trattando aspetti inediti e dando finalmente dignità alle molte figure professionali che si sono alternate all’interno degli stabilimenti pontederesi. Il tutto corredato da una vasta iconografia raccolta nel corso degli anni e in larga parte inedita. Il periodo abbracciato è molto ampio e parte dalle origini, quando la Piaggio, intraprendente casa genovese, approdò nel 1924 a Pontedera, dopo aver rilevato nel 1917 a Pisa l’officina aeronautica impiantata dagli Antoni e dopo essere divenuta azionista nel 1922 della neo costituita Società Anonima Italiana Costruzioni Meccaniche per l’esercizio del cantiere rilevato a Marina di Pisa destinato alla costruzione degli idrovolanti tedeschi Dornier. Il buon fiuto da imprenditore genovese aveva portato Rinaldo Piaggio ad acquisire a Pontedera lo stabilimento in liquidazione della CMN (Costruzioni Meccaniche Nazionali), società milanese che si era cimentata senza successo commerciale nella costruzione di autovetture. La Piaggio destinò tale complesso industriale ad un progetto ancor più ambizioso: la produzione, dapprima su licenza francese e poi su progettazione propria, di motori stellari per aviazione. Un obiettivo che venne pienamente raggiunto grazie alla volontà e all’impegno di tutte le maestranze chiamate da Rinaldo Piaggio a questa eccezionale impresa. Va considerato, del resto, che produrre motori e per di più destinati a macchine che con essi dovevano volare, costituiva all’epoca la massima espressione della meccanica di precisione, con processi di lavorazione estremamente articolati e complessi. Ciò consentì di formare una schiera di autentici “maestri della meccanica”, capi officina, capi reparto e capi squadra di indiscusso valore professionale, i cui nomi sono entrati a far parte della storia dell’azienda e della città di Pontedera. Così come non può essere dimenticato l’eccezionale impegno profuso dai quadri aziendali, chiamati ad uno straordinario ed appassionante lavoro di équipe che dette risultati sorprendenti.

D: Con questo “valore aggiunto” umano e professionale quale sviluppo ebbe la Piaggio a Pontedera?

R: Notevole. In pochi anni lo stabilimento pontederese divenne uno dei più importanti centri di produzione motoristica nazionali, sviluppando autonomamente una propria gamma di motori, con potenze comprese tra i 400 ed i 1.500 cavalli, che consentirono all’aviazione italiana di conquistare ben 21 primati internazionali. Il più eclatante fu quello conseguito dal ten.col. Mario Pezzi il 22 ottobre 1938 che, con un biplano Caproni Ca.161bis equipaggiato con motore P.XI RC.100, riuscì a salire alla quota di 17.083 metri, primato rimasto tuttora imbattuto per quella categoria di velivoli. Gli “stellari” Piaggio diedero la propulsione ad aerei prodotti in grande serie dalle industrie nazionali Caproni, Savoia Marchetti, Officine Reggiane e Cantieri Riuniti dell’Adriatico, e vennero pure esportati all’estero. Non solo, ma a fianco della linea motori venne avviata, a metà degli anni Trenta, la produzione di eliche a passo variabile in volo di brevetto Piaggio-D’Ascanio, che furono adottate da molti dei velivoli nazionali. L’espansione dell’insediamento produttivo pontederese proseguì fino alla vigilia della 2a guerra mondiale, quando la Piaggio realizzò nell’area dell’ex Aeroscalo Dirigibili un secondo e moderno stabilimento, con tanto di campo di volo, per allestirvi la catena di montaggio del quadrimotore P.108, il più grande velivolo all’epoca adottato dalla nostra Aeronautica e superiore, per alcune caratteristiche di progetto, alle tristemente note “fortezze volanti” statunitensi. Pontedera divenne così un vero e proprio polo di produzione aeronautica, con ben tre linee di produzione ed oltre diecimila occupati, più tutto l’ “indotto” affidato alle officine ausiliarie. Una importanza che non passò inosservata nel 1943, quando l’aviazione statunitense avviò una campagna di distruzione sistematica degli obiettivi militari ed industriali, attraverso pesanti e ripetute incursioni aeree.

D: Una materia così specialistica che tipo di trattazione richiede?

R: E’ evidente che avventurarsi nella tipologia dei motori, nella gamma delle prestazioni e nelle soluzioni tecniche adottate richiede una competenza di base adeguata, pena l’incorrere in inesattezze o, peggio, in marchiani errori anche concettuali. Spesso noi “specializzati” soffriamo nel leggere svarioni, di cui pochi si accorgono ma che potrebbero essere evitati con un po’ di umiltà da parte degli autori, avvalendosi delle necessarie consulenze specialistiche come avviene in altri settori. Per di più la trattazione di una produzione aeronautica così articolata e complessa necessita di essere rapportata al panorama industriale del momento ed alle realizzazioni delle industrie concorrenti per avere valore storico e ciò richiede nuovamente ricerca ed adeguata conoscenza della materia. La difficoltà sta poi nel rendere il tutto facilmente accessibile ad un pubblico di lettori il più vasto possibile, ma a giudicare dai riscontri fino ad oggi ricevuti tale esigenza è stata da noi ugualmente soddisfatta. Vi è poi un altro aspetto da non trascurare. La storia di un’industria, prima ancora dei bilanci, dei dati statistici e della nomenclatura dei prodotti, è storia di uomini, con il loro carattere, la loro professionalità ed il loro interagire in una struttura articolata e complessa quale è l’azienda. Proprio a questo aspetto umano, troppo spesso trascurato, abbiamo voluto dedicare altrettanta attenzione, ricostruendo organigrammi, profili professionali e caratteriali, così come incarichi ed azioni che hanno avuto una qualche rilevanza nella vita dello stabilimento.

D: E’ noto che la Piaggio dopo la guerra si è specializzata con successo nel settore dei motoscooter. Come avvenne tale riconversione?

R: Il passaggio dalla produzione bellica a quella di pace realizzato dalla Piaggio nella delicata fase della ricostruzione nazionale è sicuramente uno dei più brillanti esempi di riconversione industriale. Esso fu preceduto però da un periodo drammatico e poco noto, durante il quale gli impianti produttivi della Piaggio di Pontedera dovettero essere decentrati nella provincia di Biella sotto il controllo delle forze di occupazione tedesca. Grazie al sacrificio delle maestranze, che accettarono tale trasferimento nel territorio della Repubblica Sociale con tutti i rischi che esso comportava, fu possibile salvare i macchinari dalla requisizione tedesca e dare una continuità allo stabilimento. Purtroppo sei giovani dipendenti vennero fucilati dai partigiani, rei soltanto di essere fedeli alla propria azienda. La parentesi biellese del 1944-45 fu di fondamentale importanza per il futuro della Piaggio, anche perché in quel periodo nacque l’idea di realizzare uno scooter da riprodurre in grande serie una volta finita la guerra. Personalmente, sono orgoglioso di aver riportato alla luce il suo ideatore e progettista, l’ing. Renzo Spolti, che era pressoché scomparso dalla storia delle due ruote Piaggio. Spolti, già disegnatore-progettista presso la Bianchi di Milano, era stato assunto a Pontedera nel 1930 proprio per realizzare la gamma di motori stellari Piaggio, divenendo il Capo Ufficio Progetti. Così come abbiamo doverosamente rievocato, insieme a tanti altri funzionari, tecnici ed operai, lo storico direttore della 1a Sezione, l’ing. Edoardo Righi, che ebbe il non facile incarico di guidare lo stabilimento nella delicata fase del decentramento in Piemonte, dal momento che il dott. Piaggio preferì rimanere in Toscana. Righi, con il suo equilibrio ed il suo buon senso, riuscì a risolvere i frequenti problemi di “convivenza” che si venivano a creare con la Guardia Nazionale Repubblicana e con lo stesso esercito tedesco. Non sono parole mie, ma di alcuni operai intervistati che non hanno esitato a definirlo “il vero eroe” del periodo biellese per aver salvato giovani “piaggisti” dalla deportazione in Germania o peggio dalla fucilazione. L’ing. Spolti, nel partire per Biella, ricevette dal dott. Enrico Piaggio un invito generico di“pensare all’avvenire” dell’azienda per cui si impegnò a studiare con i suoi validi collaboratori alcune realizzazioni che potessero avere un mercato nella successiva fase post-bellica. Scartata la motocoltivatrice e la lavatrice, l’attenzione si concentrò sullo scooter, già esistente in alcuni modelli sia in Italia che all’estero, ma che non aveva trovato ancora una vasta diffusione. Determinante in questo frangente fu la frequentazione da parte dei quadri Piaggio del castello del conte Felice Trossi a Gaglianico, brillante corridore automobilistico degli anni Trennta che custodiva e faceva funzionare ogni mezzo di locomozione disponibile tra cui alcuni modelli di scooter italiani e stranieri. Venne realizzato con mezzi di fortuna un prototipo, denominato “M.P.5” (Moto Piaggio 5), anticipatore di molte delle soluzioni poi adottate sulla Vespa, ossia la carrozzeria portante in lamiera stampata, l’ampio scudo frontale, le ruote piccole, la posizione eretta di guida ed il motore completamente carenato e coperto. In più sull’originale scooter fu installato e provato, precorrendo i tempi, il cambio automatico, in alternativa ad uno tradizionale a due marce ma con comando a manopola sullo sterzo. Si trattò, quindi, di un mezzo innovativo e non di un prototipo mal riuscito, come la pubblicistica orientata alla creazione ed al consolidamento del mito aziendale ha successivamente presentato.

D: Come si arrivò alla realizzazione della Vespa?

R: L’M.P.5, ribattezzato più tardi “Paperino” sulla falsariga della “Topolino” FIAT per il lancio commerciale della preserie di cento esemplari prodotta, venne collaudato sommariamente a Biella cercando di non dare troppo nell’occhio. L’ufficiale tedesco che sorvegliava la produzione della Piaggio, incentrata prevalentemente sulle eliche germaniche VDM, si accorse che alcuni dipendenti stavano lavorando a tutt’altro ma, consapevole dell’inevitabile ed imminente sconfitta della Germania, chiuse un occhio limitandosi a chiedere l’eventuale rappresentanza dello scooter a guerra finita, se fosse riuscito a riportare la pelle a casa. Quando il dott. Piaggio si recò dopo la liberazione a Biella, gli fu presentato l’M.P.5 di cui afferrò subito la bontà dell’idea. La storia del resto insegna che il successo di talune realizzazioni sta proprio nell’essere disponibili nel momento giusto, ossia quando l’esigenza si presenta. Puntare su di un mezzo di locomozione di massa, che non fosse una motocicletta e che risultasse più pratico ed economico di una autovettura, poteva essere la soluzione ideale per soddisfare l’esigenza di mobilità nella difficile fase della ricostruzione. E così fu. L’unica obiezione del dott. Piaggio riguardò la parte centrale della pedana realizzata sull’M.P.5 che non era completamente libera come lui desiderava, sebbene già portata all’altezza di una bicicletta da donna. Sapendo che i progettisti rimettono malvolentieri le mani sulle proprie creature, affidò l’incarico di rielaborare lo scooter all’ing. Corradino D’Ascanio che, per liberare la pedana, fu costretto a spostare il motore lateralmente sbilanciando inevitabilmente il mezzo. Nacque così nel 1946 la “Vespa” ed il suo inossidabile mito, ma questa è un’altra storia che molti hanno già raccontato.

D: Quale importanza ha avuto dunque la produzione aeronautica nella storia della Piaggio di Pontedera?

R: Direi rilevante, se si pensa all’alto livello di specializzazione che raggiunsero le maestranze e che fu fondamentale per la ripresa post-bellica dell’azienda nel settore delle due ruote. Taluni macchinari per la lavorazione delle eliche, che vennero salvati con il trasferimento a Biella, si rivelarono poi preziosi per poter avviare in tempi brevi la produzione della Vespa una volta rientrato lo stabilimento a Pontedera. Certamente, la produzione di scooter e di veicoli leggeri da trasporto commerciale non poteva presentare le suggestioni e le implicazioni del mondo aeronautico, ma dette un futuro certo allo stabilimento pontederese. La progettazione e costruzione di velivoli, così come la produzione di motori aeronautici, proseguirono negli insediamenti produttivi liguri, passati nel 1964 sotto la Rinaldo Piaggio Industrie Aeronautiche Meccaniche – oggi Piaggio Aero Industries – quando i due fratelli Armando ed Enrico diversificarono ufficialmente le loro attività. A Pontedera, destinata ormai alla produzione degli scooter dopo una breve ed infruttuosa parentesi sperimentale elicotteristica, rimase il campo di volo demaniale con la sua bella pista in asfalto di 1.130 metri, che nessuno purtroppo è riuscito più ad utilizzare in modo continuativo per nuove attività di volo, nemmeno nel campo della Protezione Civile o del volo sportivo da diporto. Con il successivo avvio nel 2000 del Piano di Insediamento Produttivo, il Comune ha sacrificato questa installazione in favore di nuove strade e capannoni, cancellando così anche questa ultima testimonianza di un passato glorioso.

D: Di questo passato, che lei cita, c’è ancora molto da scrivere in Italia?

R: Direi proprio di si. Il nostro paese può vantare brillanti tradizioni in campo aeronautico, con primati e realizzazione di grande valore tecnico, ma non sono divenute ancora patrimonio di conoscenza condiviso. Nelle scuole pubbliche inglesi, nazione che ha vinto la 2a guerra mondiale, si studia, ad esempio, la Battaglia d’Inghilterra e tutti i ragazzi sanno che cosa hanno fatto gli uomini della Royal Air Force con i loro Spitfires e Hurricanes per difendere i cieli dell’isola dall’attacco della temibile Luftwaffe tedesca. Da noi, invece, nei libri di testo scolastici non vi è citazione alcuna delle glorie dell’aviazione italiana, con il risultato che la quasi totalità dei nostri giovani non sa niente delle Crociere Atlantiche dei primi anni Trenta o dei primati di velocità della Scuola di Desenzano del Garda; men che mai delle pagine di valore scritte dai nostri aviatori durante le due guerre mondiali. Si tratta di genuine espressioni delle capacità tecniche, professionali ed umane di tanti progettisti, costruttori, piloti e tecnici italiani che andrebbero divulgate, liberi da ogni sorta di condizionamento ideologico o di atteggiamento mistificatorio. Qualcosa tuttavia si sta iniziando a muovere in direzione di una maggiore conoscenza dell’aviazione italiana e del suo passato. Gli sforzi compiuti dall’Aeronautica Militare con il suo Museo Storico di Vigna di Valle e con manifestazioni di vario genere organizzate in tutt’Italia, ma al tempo stesso una rilettura più attenta ed obiettiva degli eventi legati ai nostri ultimi cento anni di storia che sta prendendo piede, lasciano ben sperare per il futuro.

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